ANDREA FLEGO
OLTRE
millenovecentonovantanove
Ringraziamenti
Paradosso della poesia è talvolta il suo significare la realtà con un linguaggio in qualche modo alieno ed insieme connaturato al quotidiano. Perciò, da parvènu della poesia, ho cercato a più riprese di immaginare le possibili reazioni del futuro lettore, sottoponendo i miei testi a critici diversi. Così la pubblicazione di questa raccolta è stata ritardata più volte, consapevole che la critica anche impietosa, anche quella che fa male, è comunque preziosa. Ai miei lettori – per cosi dire – in anteprima, devo un ringraziamento per la pazienza dimostrata. Alcuni di essi – semplici lettori di poesia – mi hanno fornito informazioni sul grado di condivisibilità del testo, e di percepibilità del messaggio poetico. Altri – addetti ai lavori – hanno formulato una critica più sistematica, talvolta radicale, e mi hanno indotto a ripensare l’opera più volte. Per esempio, questi versi sono stati definiti di buona, talvolta di squisita fattura, ma scarsamente di tendenza e poco significativi e pregnanti quanto al contenuto. In questo senso mi è stato consigliato – forse invano – di approfondire maggiormente la differenza tra lo scrivente poesie e il poeta.
A una precedente formulazione della raccolta è stato rimproverato di non avere un soggetto poetico, un filo conduttore, ma di presentarsi quasi come un catalogo. A questa osservazione debbo, oltre ad alcuni accorgimenti per rendere più fruibile il testo, una profonda rivisitazione della sequenza delle liriche.
Le ho riunite allora secondo quattro nuclei scanditi da tre liriche di Jimenes e dall’epitaffio posto sulla tomba di S. B. Yeats. Credo di aver ottenuto così una maggiore compattezza tematica, ma rispetto a quella critica, mi rendo conto che il risultato è solo parziale. E non potrebbe che essere così, perché questa raccolta è caratterizzata irrimediabilmente dall’assenza di un progetto poetico stabilito a priori. Racconta invece, per fili conduttori paralleli, e talvolta intersecantisi, un percorso esistenziale vissuto nella incoerenza del reale, anche se filtrato – e talvolta criptato – dalla poesia. Sostenuto peraltro da altre anche autorevoli voci, ho concluso per assumermi egualmente il rischio di pubblicare la silloge corredandola alla fine, per chi avesse piacere di avvalersene, di alcune – per così dire – chiavi di lettura del testo poetico e dell’habitat in cui è maturato.
Voglio perciò ringraziare tutti coloro che sono stati finora miei pazienti lettori, e soprattutto i più qualificati tra essi, senza i quali il livello di approfondimento sarebbe stato minore. Un ringraziamento va a Gianmario Villalta per il confronto serrato che ho avuto con lui in alcune fasi di questa, e anche in una mia precedente esperienza poetica. Un ringraziamento anche a Antonio De Biasio, dal quale ho avuto una grande disponibilità e molti preziosi suggerimenti tecnici.
Un pensiero tutto particolare va a Andrea Zanzotto, che mi ha onorato della sua attenzione. Non potrò dimenticare l’esperienza della serata trascorsa nella sua casa a leggere e a commentare diverse di queste liriche. Ha saputo unire ad una critica acuta e severa misurati segnali di incoraggiamento e speranza. Merita quindi quel rispettoso affetto maturato in me nel corso di due anni di intensi e fugaci contatti telefonici e epistolari.
Devo ringraziare ancora i miei molti – quasi sempre inconsapevoli – personaggi, incontrati frequentemente alle frontiere del sociale. La loro verità, anarchica e vitale, ho cercato di tradurre e di non tradire, spogliandoli delle contingenze e lasciando vivere di essi solo senso ed emozione.
Un grazie infine alla mia compagna, al mio figlio maggiore, a qualche persona amica, critici naturali, ma non per questo meno importanti e meno ascoltati.
L’autore
Oltre
Ho dato del mio alla gente
ho vegliato il dolore
fin quando il lume si è spento
di qua dal confine
L’airone al sicuro oltre il mare
volava e sono rimasto
quel volo a origliare
di qua dal confine
E poi gli occhi ho affondato
nella nebbia del vivere
con l’ingenua chiarezza del sogno
e il confine era stretto
era riarso
Oltre
Dovrò forse cercare
impreziosire il canto
e il travaglio
oltre…
Lungo i viottoli dell’umano
Como medanos de oro
que vienen y que van, son los recuerdos.
El viento se los lleva,
y donde estan, estan
y estan donde estuvieron,
y donde habràn de estar… – Medanos de oro -.
( “El recuerdo” di Juan Ramon Jimenes)
_____
(Simili a dune d’oro/ che vanno e vengono, sono i ricordi. / Li porta con sè il vento,/ e stanno dove sono,/ sono dove sono stati/ e dove dovranno stare… – Dune d’oro -.)
Il motorista
Rossa marmorea
vena scava nel cielo
un sole malsicuro
celato appena dal monte
Maggiore e l’onda
accesa di crepuscolo
e più e più cinge
la barca come d’assedio
la barca del sale
Biondo sferza il motore
e bello e disperato fronte
aperta spingendo la sua
mandria dei pensieri
fuor dal Quarnèro
E non gli ha dato il cielo
nido penati se non
quegli anni quel motore
le mani la tristezza
e terra e mare
essere in balìa
Si avvolge il motorista
di quel buio come
la barca e come il mare
nell’immensa notte
e più e più la bora
s’iscurisce
Capotempesta: un grido:
– gettate il carico se
vi son cari gli occhi
già un marinaio
l’ha inghiottito la notte –
– Ma se c’è un dio
nel mare mai più
lo sfiderò
se salvi avrò
gli occhi –
E il motore più non si ode
nella burrasca finistère
dimentica degli uomini
ormai tace…
Primo amore
Adolescenza solo un poco
sbrigliata – bella
negli occhi – un soldatino/
passione acerba/ fuori
dalla filanda… e non ti mandano
più
(Il soldatino – occhi
nascosti – per bocche
ti cercava e per paesi
…
e a Salò
ebbe fine…)
*
Alla chiesa scendeva
da Semedella* abbuiato
di bombe il tuo corteo
nuziale ma non era
amore
E poi esodo figli
lacerazioni…
*
– Stanca negli occhi –
ti mandano la foto
ch’egli di te portava
(passione quieta ormai
nella memoria
e lieve…)
* Semedella: sobborgo di Capodistria
Occhi di luce seconda
Occhi di luce quando ti cercavo
e tu non c’eri ancora ed era bello
immaginarti abbraccio d’acquamarina
Occhi di luce quando ti ho trovata
sorpreso dalla notte di tempesta
solare adamantina mia farfalla
Occhi di luce spiare la tua vena
chiassosa alla conquista di sentieri
assieme a te sfidare è dolce gli anni
Ora che nuoti verso di me con gli occhi
occhi di luce e vuoi con me veleggiare
mi è caro issarti a bordo del mio legno
Luce degli occhi avvolgerti
mi è caro nel mantello turchese
della sera
Occhi di luce prima
Biondi lunghi capelli stella
del borgo dalla loggia
al porto tre anni di sottana
Occhi di luce fioriti di collina
e frutta marina atterriti
allo sguardo cattivo
del druse (*)
– Donna dov’è il tuo uomo
(lo schioppo che frantuma
vetri nella cucina)
andate via stasera –
Occhi di luce
consunti dal fato
silos(*) boccoli magri
atra frontiera
Dagli
occhi
verso il
golfo
sboccò
la luce
in
fine
Ec
co il tre
no lun
go
lun
(*) Soldato titino
(**) Granaio del porto di Trieste usato dal 1945 al 1955 per la raccolta dei profughi istriani
Faro
Tenue crepuscolo
d’Irlanda che modella
sembianza e riso
mentre la nikon ti racconta
intarsiare a capriole
lo smeraldo sul limitare
dell’oceano
ultimo mio futuro
Di mareggiare e di sole ti profuma
ed è la prima volta questo vento
e la pupilla e l’anima ti specchia
di fiori gigliarancio
e tìcchioli di fucsia
tra zolle rose e scogli
dalla marea
ultima mia speranza
E poi
il primo brivido dell’imbrunire
riporta a te la quiete a me
i pensieri/anima di roteanti
lame a fendere nell’immenso
il faro di Capo Uncino
e i sentieri alla veglia
di chi sta in mare
e i nostri ancora
Ultimi miei occhi
che inconsapevole ti perdi
e lieto in questo
sogno pastello:
tribolato giardino di fate
e di folletti
Quando navigherai
di cielo inquieti giorni
e di acque minacciosi
per quel tuo
mondo nuovo – e con te
il mio ricordo – serba un posto
nella bisaccia dei segreti
al faro
Come in gioco le
nebbie di quando
in quando tenue
sorprendere saprà
Cast a cold Eye
on Life on Death
Horseman. Pass by.
(Epitaffio posto sulla tomba di S. B. Yeats
nella Contea di Sligo, in Irlanda)
____
(Getta freddo uno sguardo/ sulla vita sulla morte/ cavaliere. Passa oltre.)
Alba
Alba lucigna alba millefiori
alba dopo l’amore
sfiorito via al pensiero
di questa quasi sarajevo
Alba malsveglia alba stralunata
mancato incontro
atteso – Derry violenza –
ancora non ti vedrò
Alba d’oggi irreale – quasi
istriana – planano qui
illusioni tra cielo e mare
fatte mira da terra
perchè sorprese
a sorvolare l’isola
di quest’isola
a violarne il confine
Facing the war.
Death
warming soft white blanket
laid down over the fury of living
amid the brown turf sceneries of yours
poet
Death your our death
mute culminating justice
of human feelings and hates
– your horseman faces now
the war –
Unsleeping thoughts
are roaming – firing
and wounded – around
the border of nonsense telling
about Death War and Future.
(War do not mention)
Future:
slower and slower building
pendulum – reaching
its summit.
And the Death
– no fear –
purifies memories
enlivens
poems
____
Affacciato alla guerra.
Morte/ Calda soffice bianca coperta di lana/ distesa sopra la furia del vivere/ in mezzo agli scenari bruno torba dei tuoi/ poeta/ Morte la tua nostra morte/ muta giustizia culminante / di sentimenti umani ed odii/ – il tuo cavaliere s’affaccia ora/ sulla guerra./ Insonni pensieri/ vagabondano – Accesi/ e feriti – attorno/ al confine di nonsenso narrando/ di Morte Guerra e Futuro/ (Guerra non parlarne)/ Futuro:/ più lento e più lento costruire/ pendolo – prossimo/ al culmine/ E la Morte/ – niente paura -/ purifica ricordi/ ravviva/ poesie
Castle Lady song
Castle Lady lives in silkland
shining moon face on dark hair
“et elle chante et dance
comme une bohème”
Castle Lady reads your hand
looking for her destiny
et il ne sera pas beau
dans le creux de ta main
Castle Lady lives in the nirwana
spends her fondness in her cell
et elle s’etouffe solitaire dans l’air
de sa splendide jeunesse
*
Castle Lady is gone
*
she’s in the sky of the plague
avec son petit petit morceaux de malheur
comme éventail elle a éffleuré
ce hagard coin de mond
Castle Lady lives in skyland
shining moon smile on dark eyes
“et elle chante et dance
comme une bohème”
____
Canzone per Castle Lady
Castle Lady vive nel paese di seta / viso di luna risplende sui capelli scuri/ “e canta e danza / come una zingara”. / Castle Lady ti legge la mano/ cercandovi il suo destino/ e non sarà bello/ nel cavo della tua mano./ Castle Lady vive nel nirvana/ spende il suo affetto nella sua cella/ e soffoca solitaria nell’aria/ della sua splendida giovinezza.
Castle Lady se n’è andata/ è nel cielo del morbo/ con il suo piccolo piccolo pezzo d’infelicità/ come ventaglio ha sfiorato/ questo stralunato angolo di mondo.
Castle Lady vive nel paese del cielo/ sorriso di luna risplende su occhi scuri/ “e canta e danza/ come una zingara”.
La Signora
Diàfana mia signora
effluvio insonne aliti dalla scia
dei prigionieri e sottile
appesti l’essere a donne
e figli annichiliti
oggi folle ti appresti
a eccitare lubrica
fino al culmine
in piazza
Subdola mia madonna
ebbra ti trovo tra gli altari
e tra stagioni fatte a pezzi
con noia
Torbida mia entraîneuse
mi inviti a bere leggiadra
circe nerovelata ed ancora riesco
a non pagare il conto
Mia puledra di luna
lo sguardo malefatto ed alle dita
nascosti artigli laceri gli anni
nido ti fai nel cuore
poco lontano dagli amori
dirimpettaia alle passioni
e spegni e geli e ti fai
più regina
Manòla mia dalla falce
talvolta hai gioco
quando la scena
opprime piombo di luce
la danza rompe il ritmo
e sono i personaggi
ruvidi da indossare
Femmina mia sensale
del tramonto nuziale ti proponi
anzitempo suadente
ma chi troverà mai
ali perfida mia
per con/volare
Ultima mia
sorella dei viventi primula
dolce di qualche civettare
nuovo ed antico dei tuoi capelli
argento come fidarsi
Quale promessa
potresti mai mantenere e perchè mai
ti scateni in quest’ora
perchè mai l’ermète
baci della vendetta
ali donandogli e respiro
Ma non ti temo
mia giocosa pantera ho ancora
da fare qui a procurare legna
per riscaldarmi
Temo di più
il dover sopravvivere nel freddo
Bisesto
Schizzi alle periferie in una
pantoclastìa stupita gli atomi
bersagliati il pomo-d’oro saetta
al muro tenuemente
riverniciato
a bianco d’elusioni squash
…
Morte morte lasciami
re/lirare voci per nidi
implumi impunemente semi
d’esperimento strani
stancamente si seccano
nell’immaginare
E cerco nuove soavità
ed usuali mentre
un allucinìo molesto
terebra a vivo
l’esserci quasi
seminterrato
E si narrano storie
leggende inganni
– amistà –
nel futuro
scuotendo via
a farfugli questo
presente
– bisesto –
E venne il vento…
E venne il vento
furente a scompigliare
castelli di carte
a fatica incuorati
E venne il vento
a sibilare forre
cogliendo il destreggiare
di appetiti e faide
E il vento spazza
è un nuovo
respirare arduo
dolente ambiguo
Resta uvaspina
acuta nostalgia
di quel tempo
della psicoterapia
A corte
Se mai
ne avete conosciuto
il volto: è blu nettare
elettrico sovrano
Cetra mal accordata
non ammette al cospetto
solo per sintonia
concede gli occhi
Un diapason cangiante
a seconda del cielo
arcano si udrà e flebile
un solo istante
E ogni distonia
o disritmia dal cenno
esilio sarà al nulla
della memoria
Mentre l’orchestra
contrappunta
cascate di sonagli
miraggio di tesori
E questa ahimè
non grata
piccola partitura
concessa al canto
mai sarà nella regale
sinfonia
Mirroring
Harvard piano the best
mariners’ athmosphere
rare resting in the day
unpredictable day
lightening an idea
– Ser infelìz –
Mirroring a challenge
mediocrity success
unsuccess mirroring
children hanging
among the trains
unspeaking unsmiling
and ghosts flooding up – erected –
every smallest ether’s keeping
Seating on belts of a bostonian light
even facing the domestic
success death window
Everywhere to take a place
ocean continent new world
but far away from the wheel
of the mill
Incoming age
lightening a question
– ¿Porquè ser infelìz? –
____
Allo specchio
Harvard piano la migliore/ atmosfera marinara/ raro riposare nel giorno/ impredicibile giorno/ lampeggiando un’idea/
– essere infelice -/
Allo specchio una mediocrità / di sfida successo insuccesso / allo specchio/ bambini sospesi/ tra i treni/ non parlano non sorridono/ e fantasmi inondano – eretti -/ ogni più piccolo appiglio d’etere./
Seduto su cinture d’una luce bostoniana/ ancora a fronteggiare la domestica / finestra del successo e della morte/ Ovunque prendere posto/ oceano continente nuovo mondo/ ma via lontano dalla ruota / del mulino
Età che vieni/ lampeggiando una domanda/ – Perchè essere infelice? –
Untitled
Winds beloved in a frontier
shaped on sand moisture
and on lesbian pride *
Hear – winds – Versace is dead
Liberty home’s offended
by the italian Money God’s fall
And the waves of my thoughts
golden dropped by the light
in the newer shore of the sea
vanish in a nonsense sight
straight on to a stolid skyline
_____
Senza Titolo
Venti amati in una frontiera/ fatta di mistura di sabbia/ e di orgoglio lesbico/ Udite – venti – Versace è morto/ La dimora della libertà è offesa/ alla caduta del Dio Denaro italiano./
E le onde dei miei pensieri/ gocciate d’oro dalla luce/ nella più nuova sponda del mare/ svaniscono in un nonsenso dello sguardo/ diritte verso uno stolido orizzonte
* Cape Cod nel Massachusetts è detta la Mykonos americana, per la sua tolleranza nei confronti degli omosessuali. Vi appresi dai giornali la notizia della morte di Versace.
La dame Parisiènne *
Notte – appicciata –
nell’andirivieni di una pace
interiore di riccioli
irta e serpente notte
duale notte
apotropaica
Tessere ancora
in una qualche ariadne
mentre cicale
impazzano e flautato
sta nel nostro
crepuscolo a dolersi
un qualche azzurro
minotauro
– E poi volare –
fuori dal dedalo
finalmente
piume bostoniane
e miele – ¿porquè
ser infeliz ? –
E nella notte tenero
sudore di meteore
fermare il tempo
insieme
* La “Dame Parisiènne”, celebre frammento di un affresco del palazzo di Cnosso a Creta, denominato “Le libagioni”. Datato 1500 a. C. rappresenta una raffinata dama dell’era minoica con i boccoli bruni sistemati con eleganza sulla fronte e sulla nuca, ricche vesrti e un elegante profilo.
Majakowsky il mago
Sul nero occhieggia il sorriso
tastiera che erompe sul palcoscenico
schiava di Majakowsky
Non svelare l’incantesimo
bello e nobile è il sacrificio
– cieco ai mortali essere oggetto al mago –
Sapendo il gioco acredolce
amo sim-patire
ma…
– the game must go on –
The game must go on.
As Majakowsky screams
the game ‘s heavy/‘s over. A marble
remains: to leave
the stage to an actress.
Poor game damned to go on.
____
Il gioco deve andare avanti.
Come urla Majakowsky/ il gioco è pesante/è finito. Una palla/ rimane: lasciare/ la scena a un’attrice. / Povero gioco dannato a continuare.
I poeti hanno rabbia e
I poeti hanno rabbia e
spingono parole spingono
silenzi verso
l’archè stizziti chiedono
con/passione
li ascoltano solo
i poeti
Pavoni – si sa –
ruoteggiamo
spiumeggiamo avanguardie
a stupire
Ma il divenire – immagino –
di rado
stupefatto
Lungarno
Oggi è un giorno
tenero venato di verbena
di sandalo malato
di tepori
E soffice
mi piace qui
mettere l’anima
tra nuvole d’affetto
leggero dopo tanto
vorticare ingrato
sulla pietra
Tù, la de aquella tarde,
no eras la tù que eres.
¡Ay, no, no, no eres mia!
¿En dònde, en dònde estas tù, aquella,
en dònde, di, que no eres mìa?
(“Examor” di Juan Ramon Jimenes)
____
La te di quella sera/ non quella che ora sei./ Ah no, tu non sei mia!/ Dov’è, dimmi, quell’altra te/ domando a te che non sei mia.
Versi al duale
Palle di neve a segno sulla faccia
poco e freddo dolore lasciano
segni di durezze insidiose
*
Scambio di doni a festa
non farsi male
confondere i perchè
*
Aquile volteggiano
furiose calano
sull’invisibile filo
*
A giorno si tende ossidato
riluce infinito e sempre
stupefacente acciarino dell’oggi
*
Poi un noi trabocca improvviso
infittisce nel bosco s’immerge
in miniera diamante insondato
*
Sorda coltre inosabile
anestetico d’un impensare
infida folgore
*
Falso simulacro
addormèntati
o fuggi
*
Quale intelletto quale istinto
quale siamo in gioco non
siamo fusione controllata o hiroshima
*
Ma tra le mani aperte
la folla incombe il dubbio
la risposta freddo oppur paura
*
Sotto il noi di velluto più non cova
(forse) la brace di pensarsi ancora
come alito allo specchio
*
Sotto il noi di velluto però cova
(forse) la brace di pensarsi ancora
come alito allo specchio
Stravizi delle Regine di Sabato
Con frenesia si posano
sul fiore
d’un doppio lavoro
*
Ruvide mani
anime
pendolari
*
Sorprendente elegia
del prendere il giorno
che viene
*
Mani segnate brutture
di città qua e là
cercar qualcosa
*
Lievi
come felino
in caccia
*
Momenti a fermarsi
neanche
fare la spesa
*
Lasciarsi assaporare
l’anima che sa
di graziosa ironia
*
Che a un tempo
sa di una qualche
speranza
Carmina Burana
Argento
erano i passi e il ticchettìo
dentro il mistero mirra
di voce attesa incantata
e perduta e dolce
d’atmosfere improbabili
In un lampo
udito a mille
lunghezze d’onda e di respiro
lacera l’elfo suggeritore l’incertezza
da sempre appostato prezioso
all’orecchio e si fa
danza di segnali si fa
festa si fa
Carmina Burana
L’ombra
Dolce tarlo
d’inquiete titubanze al tatto
evanescente ed alla voce
Zolfanelli
d’anima e di sorriso
par che scoppiettino tra i piedi
incamminati per ghiaie
tortuose
Fitte
lame di luce impietose
s’inverano alla scena
fame d’ombra
Ombra
calore ombra che rassicura ombra
che piace incuriosisce
attira
Bugiarda
alterità che sa trovare
l’alterità nell’ombra molti infatti
siamo alla luce prigionieri
e soli
Ambigua crudità
sotto la pioggia
gelida attenta a scrutar tra le nubi
sottovento
L’ombra come sarà
forse cifrata (forse) indecifrabile
soffitta di ragioni e di passioni
caos mal difeso
Coazione
tolemaica ad avvinghiarsi
al centro tra i pianeti
e a rifuggirne
Ama a volte sognare
– sommesso accoccolarsi ad ascoltare –
la luna quando appare
un fiore tra le mani
La coccarda
Nome
aconcagua un’ammaliante
icona venerasti gonfi
gli occhi d’attesa
vagava abbuiata.
Ormai più cercherai
in segreto appuntata
al vestito e fantasiosa
sul nero iridata
cortese
quella coccarda…
Conchiglie
Silenzioso scrigno segreta
si dischiude la conchiglia di Paride
toccato egli fa voti
che – ahimè – non si richiuda
Amante francese
Autostrade di nebbia si arruffano
a rubare momenti: fare dire
imprecare…
Perchè non fermarsi
annusare naïf il silenzio
e la grazia francese
Presque…
Un presque-vivre quitté
Un presque-rêver mis de cô té
Une presque-âme surprise
à se balancer au milieu de sa rue
Pourquoi ne pas allumer
ce soupir presque-léger
presque-fou
Pourquoi ne pas être
presque-petit presque-aimé
un seulement parmi beaucoup
de pensées à toi
____
Quasi…
Un quasi-vivere lasciato/ un quasi-sognare messo da parte/ una quasi-anima sorpresa/ a dondolare nel mezzo della sua via./ Perchè non accendere/ quel respiro quasi-leggero/ quasi-folle/ Perchè non essere/ quasi-piccolo quasi-amato/ uno soltanto tra i tanti/ tuoi pensieri
Ritratto
Anima che va cercando
l’acqua da bere insieme
cercando pensieri da profumarci
i seni e sguardi a sfumare
lontano
Anima d’azalea rosa antico
viennese irta di guglie
fragrante di terra
sibarita sontuosa allo scavo
alla ricerca di semplicità
deluse
Cornice a petali
oroargento e di occhi antichi
polverosa acqua di roccia
angoscia di meduse trasluce
di esser pensata
Fior di marea
Un subito
adombrarsi di ogni
frammento
di ogni sussultare
E del futuro
cantare ti piacerebbe
limpida nella notte
e interminabile
Ma il futuro è cifrato
impalpabile al canto afona
voce sgorga ed attutita
presagio d’un oblìo
E tu
incantamento indocile
frugliare lasci ancora
il fiore della marea
E delicato
damascare
per qualche
tempo ignoto
Sinusale emozione ti sorprendo
d’un canto a luccicare come
cristallo e tinnire
a veglia nella sera
Fleur de cactus.
Sàpida una voragine
s’implode come quando
da uomo vestiresti
da fanciullo
negato – lungamente –
nell’albore
Segnato a tralci
e divincoli come
un avvinghiarsi
di fuga e di dominio
tiranno si fa – fragile
vite – nel freneticare
Ma il ricordo
– il ricordo –
decolora e spegne
come
alla violenta
ricerca d’un saio
E di umore/trincea
si cosparge
a ritrosa
ricerca
e fiammate
…
*
Dunque farsi
e non farsi
– olimpo
di sassi –
di un fato
dispoglio
– Unico –
fiore a schegge
pudore
baldanzoso
di/mostrarsi
ogni cent’anni
L’Ape Regina
Alzata la
gonna del temporale
principesse s’impressero
egoiche nei sentieri
del cielo
A forza nitide
le ho nutrite del volare
più alto
Fiore bluspino
Umile fior di cardo
scettico d’albanesi
ferite schivo
fiore bluspino
Come addolcirti
a guardar uomini
gli occhi
Come
accendere ancora
quel tuo rado
sorriso
Gocce di mare
Gocce si cercano
nel mare particelle
d’umore altalenante le guida
il cuore e l’intelletto a darsi
un buon natale
Aquarius
Immagina l’andare
solitaria cercando una meteora
che passi di nascosto in questo cielo
Immagina il sapore
di una stagione antica
che a fatica e con gusto a nuovo
si incolora
Dolce dolce assapora questo fuoco
di tenerezze solo un poco
accennate nella grazia
ambigua del tacere
o del parlare lontano
Tenue-sferzante è amore
come cavo d’acciaio affastella
vuoti tralicci e trasfigura
del quotidiano
Tenue-indomabile ondeggia
nei meandri cangianti di Aquarius
or nella mente limpida
or sulle labbra a dissetare
si posa leggero
Presepe
Lampare trapuntano a va e vieni
nel nostro specchio indistinto
del mattino
tristezze gioia accese
tristezze appena
Lontana insonne aurata
carne di luce pian piano
si trasmuta
Fonde ardita
in pensiero
in lucida sembianza
di te di me
rinati
Anatomie de l’amour.
Lela – le chiese il vecchio –
mi doneresti un poco
dei tuoi occhi?
Lelinha frugo
da tempo tra i nervi
ginocchia aperte sassi
nel vento
E Lela indicò nuvole
tra verdi anni
e parole
Lelinha cerco
ancora nel sangue
delle vene un petalo
di feuerbach
Lela sorrise – il vecchio
le sussurrò sorpreso:
sono stanco
Rime d’amore
Quando ti amo mia ninfa
con l’anima
non voltarti allo scuotere
delle canne
E’ il fato mio giaggiolo
– fiera a preda – ci incute
aliti di sventura
Però mio cherubino soffia
via la paura. Al vedermi
con te al sentire le muse
diventerà mansueto
Versi
Linfa dei giorni mi inciti
a sospingere il carretto
della fortuna recitando
lune inaspettate
E anche
a sussurrarti
bolle di primamore
e melodie
Comete
Sfugge all’afelio la cometa
che fino a ieri
di polline bruciava
e il marinaio
con l’anima tra i gomiti
blandisce l’equatore
che gli dica dei nuovi
cieli dove l’ago
va a straglio
ed anela segnali.
¡Siento que el barco mio
ha tropezado, allà en el fondo,
con algo grande!
¡Y nada sucede! Nada… Quietud… Olas…
– ¿Nada sucede; o es que ha sucedido todo,
y estamos, ya, tranquilos, en lo nuevo?
(“Mares” di Juan Ramon Jimenes)
____
Sento che la mia barca/ ha urtato, là sul fondo, / in qualcosa di grande. / E non accade nulla… Quiete… Onde…/ – No, niente accade o tutto è già accadutoe/ e stiamo ormai, tranquilli, nel diverso?
Posìdon
Ieràpetra*. Sale
ebbra di salso
alla fortezza – venexiana –
un’euforia sottile
come d’echi
a rimbalzo
Zèfira l’onda corta
tra desiderio e quiete
anime d’africa
portoghese
Mari allusivi emanano
tolde di genti
avide di promiscuo
città e progenie dove
cantilenare veneto
– no xe foresto –
* Ieràpetra, sulla costa sud-orientale dell’isola di Creta, fu avamposto romano per la conquista della Libia. Conobbe il suo massimo splendore durante il dominio veneziano.
Muse
L’iceberg del tempo
biancheggia misterioso
virus nel cielo
indaco acceso di Barbarossa*
Oppure scioglie in un oblìo
di loto l’effluvio
della notte
benedetta d’amore
O confonde nei sogni
l’orgoglio del cimento
in qualche nuovo màthima
oscuro
O ancora…
*
Lustrale intanto albeggia
Egeo come via lattea
di navi e di paesi casto
diadema a pensieri
di ventura
E a noi
– mercanti di schiavi
in burrasca di stoffe
preziose e di spezie noi
teneramente
scolte alle mura –
che resta
Se non
trovare
dare
bellezza
* pirata saraceno che fu terrore del basso mar Egeo.
Povera e nuda vai…
In un amèn sfumarono
aironi viola e oro
di Costantinopoli *
Come Guevara soffrivano
grigio e orizzonte
come ali il gelo
Ma vivono nei nostri
occhi del sempre
hanno scolpito
un segno
– piccolo – in un angolo
del porto
* Intellettuali perseguitati a Costantinopoli si rifugiarono a Rethimnon, che fu detta anche per questo la Atene dell’isola di Creta. Dettero così vita ad un cenacolo artistico e culturale, al riparo da troppo violente passioni politiche.
Cortile Sciacca *
Isola delle femmine
che ancora scruti legni di predoni
tra mare e cielo sono dunque rimasti
di tempo in tempo i tuoi corsari tutti
su questi scogli
Terraqueo antico
intruglio d’altre
modernità pietrificate
Sontuoso anfiteatro
di gladiatori arcigni e di fiere all’agguato
cosmica pattumiera assolata Bilbao
Beirut sopita
Come ti mostri
agli ultimi normanni
seduttori e come lasci
intuire promesse dai seni
arsi a mezzogiorno
velati appena
dalla bruma
Si può
solo per poco cercarti
amica sciogliere inebriati
le tue vele all’imbrunire
sfilare nella cala
i tuoi calzari stupire
all’ombelico della reggia
Si può…
– Cortile Sciacca radionotizie ventiquattro
anni incensurato pare gestisse un piccolo
negozio telefonata anonima colpo all’addome
e alla nuca morto in due ore…-
Suburra acre
di frutti di mare e di frattaglie
matrigna di ragazzi piemontesi
ancora in guerra
Zagaréa d’oro
nobildonna barocca orfana dei tuoi re
vedova di Capaci
Gemma
al tuo dito un venditore
di pupi del tuo futuro
innamorato…
– pur se al cortile
Sciacca (lamentosa
la radio s’incupisce)
nessuno più sa nulla.-
* Quartiere di Palermo
Duna
Mondi d’angolo
spazieremmo intrisi
di festa luce
residuale pluri-
duale rotolante
ad affogare nella
duna
Quando
il morbido – a tratti –
appassire del chiaro
interminabile ci strofina
flavo fruscìo di
sottane avvolgendoci
nella rena
veduta ocrazzurro
endorfina
Scalmi d’ombra di
fuoco bisbigliano a tratti
ragazzi/ragazze a spiarsi nell’aria
palpabile: come
per un sangiovanni
Ragazzi che non sanno l’inglese o delle
altre vie del ritorno
Squarcio negli occhi
offrono d’una
Vineta (*) non
ricomparsa proprio
dove un ballo comincia
di piccole
cose ed illumina
un eterodosso piercing
radioso
Timida a rombi
amoreggia la stazione
di servizio: raccontarsi
complice – begliocchi –
nel crepuscolo:
ingenuo toccarsi
d’un ronzìo fanciullo
d’alveare
Curiosi si sistemano su
mari su cieli d’oltre
pomerania migranti
cicogne a sapere
Ed imparano freschi
a volare
(*) Vineta, secondo un mito baltico, è un’antica e meravigliosa città sommersa nella sabbia con tutti i suoi mercanti, che solo ogni cento anni può rivivere per una notte. (Il termine “Vineta” richiama gli abitanti della palude e – forse – ha qualche assonanza con Venezia).
Lunghe barche sul fiume
A molti non v’è dubbio
piacerebbe – solo
accennato dondolìo
d’una soffusa dopamina –
lasciarsi andare lungo
la pianura
centellinando i sensi
tra sicure rotaie
di fiume
ammantando passioni
a foresta solo un poco
ondulata a cielo
ovattato sull’acqua
Di quando in quando
eros attingere colore
come a discreti quanta
in millenari borghi
lievemente sfiorati
con gli occhi
A molti piacerebbe come qui
bandiere dialogare pigramente
quasi un’inconsueta
provvidenza d’acqua
accarezzasse la fronte
alle nazioni
A molti in vero piacerebbe
questo docile viaggio
e profumato verso la sera
sulla poppa di lunghe
lunghe barche sensuali
che il fiume frusciano
ricolme
Dolcespiga
Luce d’ambra
dai raggi in coperta
intravisti rochi
sull’impiantito
ruvato di
sartìe
Baltico soffia
Dolcespiga l’olio
nel lume l’iride
si restringe d’una qualche
bellezza
Nutrice più cruda
strepita la sorte
su questa bolla
di sapone rubandole
il disegno
Reduci nembi mentre
e seni e lembi Spigadoro
insegue
Quadrimeduse mentre
percuotono alla
chiglia quest’incerto
veliero
La sera/flauto ormai
il labbro rasserena
e l’occidente
sbozza e dilata nel lume
le forme
Nulla ormai Dolcespiga
tra le dita del buio
nulla esiste
se non
Ai confini del buio
ai tuoi confini
i suoi
Fatuo veliero
questo tempo
vagante a tratti
e spumeggiante
La terra di Babele
Sfidato che ebbe il cielo
Babele ne partì occhi di giada
e giorni e notti camminò fanciulla
facendosi confine
Per giorni e notti non udimmo
più fianchi di mirto
il crogiolare antico
della sua voce
Per giorni e notti si cinse
di sole di luna si vestì
la sabbia del deserto
levigò la sua pelle
Per giorni e notti conobbe
il suo efebo ambrato
spargendo unguenti lingue
nazioni
E al riparo del suo
lungo confine rimase
al buio illuminata solo
dal riflesso del mare
*
Ora come l’airone
fiammeggiante ritorna
madida sconfinata trenta
milioni di metri al secondo
Magre frontiere si ergono d’etnia
carta filo spinato parole
fuori moltitudini – quasi farfalle – anelano
il lume ella sinuosa tutto travolge
Parla alle moltitudini
una lingua di pietrisco babele
non più occhi di giada stella
fianchi di mirto
Domina i sensi e inquieta
questa sua nuova
seducente sfida
verso il cielo
Amleto
D’acerbo femmina vorrei
qualche volta accecare
lo sguardo
nel libore
evanescente d’anima
rappreso là dove
l’essere più
si annida
Malfermo sempre
e strùggido
ti aggiri desiderio
d’ogni
ricominciare e inquietudine
d’ogni
ricostruire
su questa nostra
strato-
sfera sognante
L’airone
Se l’airone tornerà
fragili risposte porterò
a inventare barene
laggiù incontro alla foce
risposte e ciottoli
che ho colto sulle labbra
nelle città
Linguaggi di pietrisco, babele non più…
(Chiavi interpretative del testo e della poetica, a possibile uso del lettore)
Mi trovavo a Manhattan – occasionalmente – in un periodo difficile. Ai bordi di Central Park attendevo l’imminente partenza dell’autobus che doveva portarci di fronte alla statua della Libertà.
Colto da necessità fisiologica chiesi all’autista – nero – se ci fosse un modo per rimediare. Egli – premuroso – m’insegnò un singolare e complicato percorso lungo i sotterranei all’interno dell’Hotel Plaza, facendo – nel frattempo – attendere l’autobus stracolmo. Ciò che più mi colpì era il suo linguaggio. Un’inglese così sgrammaticato – a tratti spagnoleggiante – da ricordarmi l’italiano disperante dei miei compagni d’infanzia trapiantati dalla strada di una periferia industriale in una scuola elementare evidentemente non pensata per loro.
Ma il make left del mio autista nero si rivelò linguaggio di rara efficacia, non solo nel fargli risparmiare il suo tempo/denaro. In un luogo dove avevo visto persone abitare il cavo di un albero o nutrirsi di rifiuti, la sua comunicazione, a tratti non verbale, mi parve – maldestro quanto appassionato – un elzeviro sui tanti espedienti, anche linguistici
(-…lingua di pietrisco babele
non più…-)
che la solidarietà è capace di sviluppare in un ambiente umano ostile. Mi parve immagine – per quanto fugace – dell’essenza del viaggio. Del viaggio come percorso/metafora attraverso la precarietà e l’imprevedibilità in cui si snoda l’esistenza. Come esplorazione di costumi, di abitudini, di pregiudizi e degli altri modi che – come ha scritto Stendhal – i popoli costruiscono per cercare la felicità.
Un percorso che prima di essere un colmare distanze geografiche è uno scavare nell’uomo, nelle sue paure e nelle sue emozioni, attraverso il contrasto antropologico tra uomini diversi e l’energia, a volte deflagrante, che ne deriva. Percorso anche solo interiore, o anche attraverso il tempo, alla ricerca – nel qui ed ora – delle radici passate da cui nascono la diversità e l’unicità di persone e situazioni.
E inseguire a tutti i costi una stringente coerenza osservatore-osservato è insieme una tentazione e un pericolo. L’osservatore infatti è gratificato, nella sua ragione e nei suoi affetti, dall’interpretare l’osservato alla luce della propria epistemologia. Questo atteggiamento però, quanto più è rigido e reciproco tanto più potrebbe alimentare, nello scontro tra diversi punti di vista, la babele dei linguaggi, l’erigere confini,l’ostilità. Al contrario, rinunciare al proprio purismo semantico e concettuale, o – come nel linguaggio informatico – semplificare accenti, cédilles, regole lessicali, e significare l’esperienza attraverso immagini, emozioni e – perché no? – contraddizioni, può condurci oltre. Ma cosa c’è oltre?
*
Dicevamo del viaggio. Nel viaggio non c’è nulla di più bistrattato, di più violentato del linguaggio. Il linguaggio, che tende – come tutte le cose nobili – ad assumere una sua dignità autoreferenziale e ad assurgere a soggetto dimenticando il suo essere strumento, nel viaggio ridiventa inevitabilmente soprattutto comunicazione.
Ma ciò che normalmente distingue la comunicazione dal rumore, cioè la presenza di un codice condiviso tra i comunicanti, nella condizione transculturale è sempre precario e aleatorio, perché nel repentino cambio di situazioni e di lingue, ma anche nel repentino cambio di emozioni – penso ad esempio alla psicoterapia – è proprio il codice comunicativo a non essere stabilmente condiviso. La comunicazione si presta quindi a molteplici cambi di fronte, a equivoci, a paradossi, a sensi che si mutano in rumore e a rumori che acquistano un qualche ambiguo senso, che si crede condiviso, ma forse non lo è del tutto.
E il codice non verbale, quello che – più impreciso – veicola normalmente emozioni e sentimenti facendosi quasi comite della comunicazione razionale, nel viaggio diventa invece prepotente, foriero di pace o di guerra, di costruzione o distruzione, di amore o di odio (o, oggi, di indifferenza).
– in un lampo
udito a mille
lunghezze d’onda e di respiro
lacera l’elfo suggeritore l’incertezza
da sempre appostato prezioso
all’orecchio e si fa
danza di segnali si fa
festa si fa
Carmina Burana –
Il codice non verbale – dicevamo – diventa arbitro del costruire un ponte, o dell’erigere un confine. In una parola arbitro della possibilità o impossibilità dell’oltre, secondo un processo che può essere faticoso, imprevedibile, creativo. Ma cosa c’è oltre?
*
Dicevamo dell’epistemologia. Come tutti gli osservatori, anche il poeta vede il mondo – dentro e fuori di sè – con gli occhi del suo punto di vista. Per quanto allenato alla transculturalità, anch’egli insegue una sua coerenza, a volte anche solo estetica. Così facendo tradisce inevitabilmente i suoi personaggi che sono nati, per contatto con l’esperienza, come intuizioni autonome, come autonome emozioni. E ciò sia che derivino da una realtà osservata sia da una creazione interiore.
La cifra dei personaggi, il loro essere in qualche modo criptati, rende nuovamente labile il rapporto tra immagine/emozione da una parte e le ragioni del poeta dall’altra, e recupera in parte la loro autonomia. Permette cioè loro di esprimersi al lettore per come emozionalmente sono nati, riemergendo dalla patina razionalizzatrice di cui inevitabilmente li ha rivestiti il poeta nel corso di riflessioni e rimaneggiamenti successivi.
E ciò riporta alla necessità di cogliere, nell’esplosività transculturale del viaggio, ma anche in quella del rapporto interpersonale, l’altro per com’è, anche se incomprensibile, anche se emozionalmente alieno, evitando di reinterpretarlo per come vorremmo che fosse.
– L’ombra come sarà
forse cifrata (forse) indecifrabile
soffitta di ragioni e di passioni
caos mal difeso
coazione
tolemaica ad avvinghiarsi
al centro tra i pianeti
e a rifuggirne –
E’ questo che, violentemente, ci cambia; talvolta ci destruttura. Come Alighiero Noschese, mago nel vestirsi di tutti i personaggi, forse (segretamente) in perenne crisi di identità. O come lo psicoterapeuta continuamente nocchiero (o naufrago) dentro mondi diversi, siano essi appartenenti all’interiore o al (micro)sociale. Una via d’uscita, rarefatta ma fruibile, è porsi talvolta a un metalivello epistemologico a forte valenza emozionale, non importa se incoerente, non importa se paradossale. In una posizione quasi di partecipe attesa. E’ forse questo l’andare oltre?
*
Ma cosa potremmo trovare oltre per cui valga la pena di andare? La nostra vita è, in molte circostanze, connotata dal cercare. Cercare emozioni, conoscenza, risposte.
Per esempio, all’inizio di una psicoterapia è temerario promettere di risolvere con certezza il problema per cui il cliente vi ricorre. Più sensato è assicurare, se egli continuerà a frequentare le sedute,consapevolezze nuove, nuove emozioni, risposte, e un qualche cambiamento. Forse quello cercato, forse un cambiamento diverso. Non sempre infatti troviamo ciò che cerchiamo. A volte troviamo qualcosa di diverso. A volte, dopo aver trovato qualcosa di diverso, ciò che cercavamo ci interessa meno.. E’ noto che nella ricerca scientifica le scoperte avvengono talvolta per caso.
Accade cioè casualmente qualcosa che non è coerente con ciò che si cercava. Altre volte questa non consequenzialità logica si configura in ciò che chiamiamo intuizione. La mente – cioè – segue una via creativa, densa di emozione, apparentemente irrazionale e guidata dal caso, e giunge dove la ragione, da sola non ci avrebbe condotto.
Stupirsi di questa non consequenzialità logica, come dice il fisico Fritjof Capra, è più che altro un portato della scienza occidentale, che precocemente ha separato corpo e anima. Forse lo scienziato orientale soffre meno questa contraddizione tra logica e intuizione. Forse egli, nel cercare, coglie di più il passaggio – tutto buddista – dal molteplice (per cui la mente è turbata) alla fondamentale unità di tutte le cose (in cui la mente è destinata ad acquietarsi).
E il nostro cercare in fondo è un viaggio – dal quale talvolta facciamo fatica a esimerci -, che ha in sè i connotati dell’avventura e dell’ignoto. In un certo senso andare è ineluttabile, è connaturato a talune dimensioni dell’esistenza, che si manifestano di più in particolari circostanze, di solito le meno automatiche: per esempio nella sofferenza, nell’incertezza,nell’amore. E com’è ineluttabile andare, è ineluttabile talvolta andare oltre. Perdersi nel nuovo che non avevamo cercato nè previsto. Andare oltre le nostre premesse – o come oggi si preferisce dire – oltre i nostri presupposti. Molti e diversi possono essere i fili conduttori attraverso cui ci si muove. Un poeta può inseguire la musicalità del verso, la ricerca dell’intimità. Può confrontarsi con la violenza delle lacerazioni, con la scoperta dell’altro,con il dolore. Può vibrare al contatto con altre lingue, altre culture, altre umanità.
E ogni volta che andiamo oltre lo stretto di Gibilterra delle nostre premesse subiamo insieme il fascino irresistibile dell’ignoto e la tentazione di tornare indietro. Ci sono momenti in cui la musicalità del verso erompe in una lingua diversa – di cui si ha qualche rudimento – sotto la pressione del comunicare transculturale e delle emozioni di ogni giorno vissute in una terra che non è la propria. C’è a volte una voglia di esperanto che contagia anche la poesia. Ci sono momenti di infelicità in cui anche la musicalità del verso può destrutturarsi verso una deriva mortale…
(- Seating on belts of a bostonian light
even facing the domestic
success death window -)
____
(- Seduto su cinture d’una luce bostoniana/ ancora a fronteggiare la domestica/ finestra del successo e della morte -)
… e altri in cui qualcuno o qualcosa ci fa sentire alieni a noi stessi, ai nostri fili conduttori, alla nostra ricerca. La paura allora ci può rendere refrattari all’alieno, può indurci a indugiare in sintesi razionali e soggetti poetici rassicuranti, può farci chiudere alla ricchezza dell’altro solo perchè vissuta come incoerente.
In questi momenti, rimanere oltre, nell’oceano dell’incertezza epistemologica, può essere doloroso e incomprensibile. Può dare una penosa sensazione come di irrimediabile frammentarietà ed episodicità dell’esperienza e delle emozioni. Ci può vedere svariare per incontri casuali ed eterogenei come alla deriva in un deserto d’acqua. E in esso solo qualche volta è dato di ricomporre l’esperienza in una nuova epistemologia, a sua volta provvisoria.
Nonostante questo però, i molti anni di militanza nelle frontiere del sociale mi incutono quasi un terrore di ricorrere al tranquillizzante quanto illusorio espediente di procedere per tesi come ai tempi in cui componevo canzoni d’autore.
– e poi gli occhi ho affondato nella nebbia del vivere
con l’ingenua chiarezza del sogno –
Essi mi trattengono dal violentare i personaggi poetici (che sono quasi sempre anche personaggi reali, di prorompente vitalità e, talvolta, drammaticità emozionale) chiudendoli in una dimensione didascalica. Da qui la necessità di criptarli, forse per pudore, o forse per timore di deformarli in un’epistemologia che non è la loro.
*
Cosa potremmo quindi trovare oltre? Il più delle volte l’emozione e la provocazione di un confronto intenso con persone, con fatti, con luoghi. E con esse anche la lezione, via via più affinata,che è giusto lasciarsi andare a sentimenti di umanità ed empatia ridimensionando i nostri e artefatti e talvolta angusti schemi, canoni, valori e ideologie. Che non è vergogna, dopo l’ebbrezza della ragione, tornare al naïf dell’emozione.
Non è compito del poeta trovare risposte esaurienti ai problemi dell’esistenza e del sociale (e va guardato comunque con sospetto chi è troppo sicuro di averle trovate, come potrebbero dirci milioni di cambogiani se solo fossero sopravvissuti). Egli può, a buon diritto tuttavia, raccontare la viva e imperfetta freschezza dell’essere nel mondo, qui e ora.
Ma solo a chi rimane faticosamente e pericolosamente oltre Gibilterra è dato talvolta d’intravvedere il nuovo mondo. Nuove epistemologie, nuove evoluzioni dell’esistere, germi del futuro da interpretare.
E le risposte sono inevitabilmente tanto più fragili…
(- se l’airone tornerà
fragili risposte porterò
a inventare barene
laggiù incontro alla foce -)
… quanto più intensa è la gioia di esserci stati in qualche modo, di aver partecipato anche con il desiderio, e non sempre e soltanto con la ragione e i suoi eccessi.
(- malfermo sempre e strùggido
ti aggiri desiderio
d’ogni ricominciare e inquietudine
d’ogni ricostruire
su questa nostra strato-
sfera sognante -)
Ma l’impresa di raccontare il vivere può ancora essere condotta con intelletto e umanità, solo che si lasci spazio e dignità all’incomprensibile. Cercare nuove vie per la sempre più urgente sintesi tra diverse culture e modi di essere, è in fondo un piacere, e insieme una necessità. Culture e modi di essere che oggi vengono messi a confronto più spesso e con maggiore risonanza di ieri, (si epensi al ruolo dei media, che da solo rappresenta una vera mutazione antropologica di questo scorcio di secolo).
Su questa difficile strada si evidenziano talvolta deboli sprazzi di una nuova metarazionalità privilegiante l’umano, che ci accomuna ad ogni latitudine – penso per esmpio alla crescente sensibilità per i diritti umani – ma essi appaiono ancora affogati nella rassicurante diffidenza per ciò che non assomiglia al nostro caseggiato. Proiettarsi oltre questa diffidenza è già talvolta un grande sforzo. E’ una salutare rinuncia, per quanto iniziale, a quella coerenza epistemologica, di cui si alimentano vecchi e nuovi confini.
Quella terribile coerenza che ha nutrito e tuttora nutre l’incommensurabile violenza di cui si è intriso il secolo che sta per chiudersi.
Forse, con Pablo Neruda, siamo ancora alla ricerca di una poesia impura, in cui la vita ri-conquisti la poesia, contaminando purezze formali e sperimentalismi, così come la globalizzazione di mercati, informazione ed etnie, travolge i confini, anche linguistici.
E con lo stesso piacere e la stessa felicità di Neruda, anche se con minori sicurezze – perché questo nuovo tempo poche ne consente – sarebbe piaceole sfida poter dire
“confesso che ho vissuto”.
L’autore.
Indice
Ringraziamenti p. 2
Oltre p. 3
El recuerdo (J.R. Jimenes) p. 4
Il motorista p. 5
Primo amore p. 6
Occhi di luce seconda p. 7
Occhi di luce prima p. 8
Faro p. 9
Epitaffio (sulla tomba di S. B. Yeats) p. 10
Alba p. 11
Facing the war p. 12
Castle Lady song p. 13
La Signora p. 14
Bisesto p. 16
E venne il vento p. 17
A corte p. 18
Mirroring p. 19
Untitled p. 20
La dame Parisiènne p. 21
Majakowsky il mago p. 22
The game must go on p. 23
I poeti hanno rabbia e p. 24
Lungarno p. 25
Examor (J. R. Jimenes) p. 26
Versi al duale p. 27
Stravizi delle Regine di Sabato p. 29
Carmina Burana p. 30
L’ombra p. 31
La coccarda p. 32
Conchiglie p. 33
Amante francese p. 34
Presque… p. 35
Ritratto p. 36
Fior di marea p. 37
Fleur de cactus p. 38
L’Ape Regina p. 39
Fiore bluspino p. 40
Gocce di mare p. 41
Aquarius p. 42
Presepe p. 43
Anatomie de l’amour p. 44
Rime d’amore p. 45
Due versi p. 46
Comete p. 47
Mares (J. R. Jimenes) p. 48
Posìdon p. 49
Muse p. 50
Povera e nuda vai… p. 51
Cortile Sciacca p. 52
Duna p. 54
Ragazzi che non sanno l’inglese o
delle altre vie del ritorno p. 55
Lunghe barche sul fiume p. 56
Dolcespiga p. 57
La terra di Babele p. 59
Amleto p. 60
L’airone p. 61
Linguaggi di pietrisco, babele non più…
(Chiavi interpretative del testo e della poetica,
a possibile uso del lettore) p. 62
Indice p. 66