LA TERAPIA FAMILIARE
RITRATTO DI GIANFRANCO CECCHIN Disegno di Laura Vernaschi
Che cos’è la terapia familiare?
E’ una forma di psicoterapia che si basa sulla teoria dei sistemi e pone l’attenzione sulle relazioni tra le persone. Viene anche chiamata terapia sistemica in quanto può applicarsi a tutti i gruppi di persone, che nelle loro relazioni, possono essere visti come un sistema.
Tuttavia l’applicazione più interessante è quella che riguarda la famiglia, considerata un gruppo naturale con storia, in cui i legami, anche quelli transgenerazionali (nonni, genitori, figli), sono particolarmente forti e significativi, e in cui la storia delle relazioni, delle regole, dei giochi familiari, condiziona il funzionamento presente di ogni singolo membro e talvolta porta uno o più membri ad adottare dei comportamenti patologici o sintomatici della sofferenza del gruppo. In questo caso si parla di paziente designato e la terapia viene centrata sull’obiettivo di cambiare il modo di funzionare della famiglia, per modificare anche i comportamenti patologici del membro problematico.
Il movimento della terapia familiare ha avuto un grande sviluppo negli anni 70 in tutto il mondo a partire dalle ricerche di Paul Watzlawick a Palo Alto in California, e da altri pionieri come Gregory Bateson, per citare i due più importanti. In Italia, a partire dalle ricerche a Milano di Mara Selvini Palazzoli, che studiava negli anni 70 il funzionamento di famiglie con un membro schizofrenico, si sviluppò quello che in tutto il mondo è diventato famoso come Milan Approach, l’approccio milanese alla terapia con le famiglie. Del primitivo gruppo di ricercatori-terapeuti che lavoravano con Mara Selvini Palazzoli, facevano parte Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin che dal 1980 diedero vita al Centro per lo Studio della Famiglia, di via Leopardi a Milano, oggi trasformatosi in Centro Milanese di Terapia della Famiglia.
La psicoterapia familiare ha visto la nascita nel mondo e anche in Italia, di altri approcci, come si può vedere dalla breve e semplice rassegna che ne fa wikipedia (v. terapia familiare). Ma, avendo frequentato la scuola milanese di Boscolo e Cecchin negli anni dal 1980 al 1983, anni di nascita di quella per me esaltante esperienza, preferisco forse partigianamente, ma anche perchè ne ho avuto esperienza diretta, parlare soprattutto del Milan Approach.
Il Milan Approach.
Luigi Boscolo Gianfranco Cecchin
Il 4 febbraio 2004, sull’autostrada nei pressi di Brescia, moriva in un incidente notturno, Gianfranco Cecchin. Ricordarlo qui mi sembra un doveroso omaggio per quanto mi ha insegnato. E lo faccio riportando le parole di uno dei tanti suoi allievi, riprese dal sito de “la Rete“:
In ricordo di
Gianfranco Cecchin
“Luigi’n’Gianfranco” scriveva Bebe Speed su un vecchio numero di “Human Systems” che nel 1997 celebrava i 25 anni del Centro Milanese di Terapia della Famiglia e i 65 anni di Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin. “Luigi-e-Gianfranco”, diceva la Speed, che “come fragola-e-panna […] sembravano inseparabili”.
Lo sanno bene quanti arrivavano alla Scuola di via Leopardi da tutta Italia e da parecchi angoli del mondo per imparare il modello di “Boscoloececchin”, di Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin. Così diversi, così complementari ed entrambi così necessari a definire il “Milan Approach” come lo conosciamo oggi, una straordinara avventura intellettuale che ha segnato la vita, non solo professionale, di tanti colleghi.
In quelle ore, in quei giorni in cui sembrava così impossibile abituarsi all’idea che avremmo dovuto pensare a quella storia senza più il volto, il genio e l’ironia di Gianfranco Cecchin, attraverso il telefono, la posta elettronica, gli sms, tante persone cercavano conferma di quella notizia alla quale non volevano credere: e, mentre cresceva la consapevolezza, condividevano il desiderio sincero di stringersi attorno a Luigi Boscolo e a tutti i Docenti di via Leopardi, di continuare a lavorare per onorare l’immenso privilegio di sentirsi parte di una storia straordinaria.
La Rete
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Il Milan Approach nasce nel 1971 quando Mara Selvini Palazzoli, psicoterapeuta già affermata, dopo un viaggio in America, decide di importare a Milano il modello sistemico del Mental Research Institute di Palo Alto. Mara si dedicava allora in particolare alla terapia di pazienti schizofrenici e anoressiche.
Si crea così una squadra, un team, composto anche da Giuliana Prata, Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin. Il primo grande momento di risonanza, in Italia, ma soprattutto all’estero si ha con l’uscita del libro “Paradosso e controparadosso” (1975) in cui vengono descritti modelli di funzionamento e “giochi familiari” presenti nelle famiglie con un membro schizofrenico. Ci sono anche già le descrizioni dell’uso “terapeutico” del paradosso, sotto forma di prescrizioni paradossali, paradosso teorizzato da Bateson e da Watzlawick per descrivere la patologia comportamentale.
Elemento fondante, e sostanzialmente nuovo, del Milan Approach, è la definizione di “connotazione positiva”. Si tratta di una valutazione positiva, da parte del terapeuta, di un comportamento (di solito quello sintomatico) che usualmente è presentato in termini pesantemente negativi e squalificanti. Ma la lezione della connotazione positiva si riferisce anche a quanto abbia un effetto positivo approvare tutti i comportamenti dei membri della famiglia anche quando sono tra loro contradditori e quindi la loro approvazione diventa un paradosso, definito come paradosso pragmatico, secondo la definizione di Watzlawick.
Il passaggio successivo e l’ultimo atto comune del team della Selvini è il saggio “Neutralità, circolarità, ipotizzazione“, che ha formato per anni la pietra miliare del comportamento in terapia degli psicoterapeuti sistemici di formazione milanese.
In esso si individua la neutralità, come capacità del terapeuta di non schierarsi a favore di nessun membro della famiglia contro nessun altro, la circolarità come capacità di formulare domande circolari, cioè che mettono in luce per feedback successivi i vissuti e il funzionamento della famiglia, e l’ipotizzazione, cioè la capacità di formulare ipotesi sul significato dei comportamenti, compresi quelli patologici, e testare queste ipotesi attraverso nuove domande circolari.
Intorno al 1980 le strade di Mara Selvini Palazzoli e Giuliana Prata da una parte e di Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin dall’altra si dividono. Le prime si orientano sempre di più verso lo studio deigiochi familiari e dei diversi modelii di funzionamento delle famiglie con pazienti designati, i secondi vanno a costituire il citato Centro per lo Studio della Famiglia di via Leopardi, e si orientano sempre di più sull’osservazione dei sistemi terapeutici, comprendenti anche l’osservazione dei terapeuti e delle loro interazioni con la famiglia.
Questo è il momento del mio incontro con loro (1981) e della mia formazione sistemica.
Cresce in quegli anni la loro collaborazione, tra gli altri, con gli statunitensi Lynn Hoffmann eCarlos Sluzky che riserveranno particolare interesse al Milan Approach (termine coniato oltreoceano proprio da Lynn Hoffman) che applicheranno al loro modo di fare terapia e sottoporranno a revisione. Altri autori che sono stati importanti punti di riferimento per Boscolo e Cecchin in quegli anni sono stati i filosofi e biologi cileni Humberto Maturana e Francisco Varela, questi ultimi principalmente per il concetto che i sistemi biologici sono “autopoietici” cioè si “autocostruiscono”, e con essi naturalmente anche il sistema-famiglia.
Da allora e fino alla morte di Cecchin (2004) i due hanno sempre lavorato assieme, sia come terapeuti della famiglia, che come formatori di un numero enorme di allievi da tutta Italia e dall’estero, facendo nascere sedi staccate in molte parti d’Italia, e svolgendo un’intensa attività di conferenze, dibattiti, seminari e interventi in Italia e all’estero.
Dalla primitiva formulazione della teoria dei sistemi Boscolo e Cecchin hanno percorso un’evoluzione molto originale. Pilastro di quest’evoluzione è stata la coscienza che il linguaggio non è solo un mezzo per comunicare, ma è soprattutto uno strumento per “costruire la realtà“. la realtà quindi non viene “scoperta”, ma viene “costruita” dal sistema-famiglia, e il processo terapeutico può diventare un modo di “de-costruire” e “ricostruire” questa realtà. L’attenzione poi, nella loro ricerca e pratica clinica si è progressivamente spostata dalla famiglia all’interazione contemporanea tra più sistemi interagenti, famiglia, lavoro, scuola, gruppo dei pari, società ecc. Nel loro modo di fare terapia poi ha sempre avuto un importante ruolo il concetto della definizione del futuro. Definire il futuro in un sistema relazionale obbliga ad esplicitare il proprio presente e le reciproche relazioni sottostanti.
Pur in questo lavoro comune, a partire dalle elaborazioni del “costruzionismo” (la realtà non si scopre ma viene continuamente “costruita” dal sistema, anche in terapia) Boscolo e Cecchin hanno differenziato la loro ricerca, in base alle inclinazioni a loro più congeniali.
La ricerca di Boscolo si è progressivamente focalizzata sulle emozioni. In base alla teoria dellaresonance, ha rivalutato progressivamente la risonanza emozionale in terapia, integrando e superando i modelli di un tempo che invece privilegiavano gli aspetti cognitivi (e qui mi torna in mente, forse in modo “impuro”, la lezione cognitivo-comportamentale della dott. Montano sul rapporto tra aspetti emotivi e cognitivi, citato in altre sezioni di questo sito). Ho definito questo pensiero come “impuro” riecheggiando alcune riflessioni degli ultimi Boscolo e Cecchin che criticavano il “purismo” sistemico dei primi tempi, cioè il rinnegare conoscenze antiche per perseguire un rigore metodologico tendenzialmente autoreferenziale. E invece la conoscenza, credo, sia ampiamente “spuria” cioè tendenzialmente trasversale. E mi fa molto piacere aver ritrovato dopo anni, un mio grande maestro come Boscolo, che ho conosciuto nella versione, per così dire, precoce, rivalutare e riformulare l’ importanza delle emozioni in terapia, sia dalla parte dei pazienti che da quella dei terapeuti, considerandole una risorsa sempre più importante per il cambiamento.
Cecchin, d’altra parte era l’uomo della curiosità. Nella sua revisione del saggio “neutralità, circolarità, ipotizzazione” invocava la necessità di superare la neutralità con un invito ad essere curiosi. Qualcuno ha scritto che assomigliava ad un simpatico cagnolino che ficca il naso dappertutto, creando scompiglio, ma rimediando sempre comunque una carezza. L’arte, diceva Cecchin, è “togliere”, cioè raggiungere una semplicità quasi naif ed egli sembrava in terapia, ma anche nel rapporto con gli allievi, un ragazzo, sempre capace di stupirsi. Era anche l’uomo dell’irriverenza, geniale nel togliere il terreno sotto ai piedi ai pazienti, offrendo contemporaneamente un nuovo, impensato, accogliente terreno in cui rifugiarsi. Era infine l’uomo che ha rivalutato con Gadamer ilpregiudizio. Tutti abbiamo dei pregiudizi, anche i terapeuti. E’ impossibile non avere pregiudizi, ma essi, o perlomeno alcuni di essi possono essere preziosi in terapia, purchè si sia coscienti che sono, appunto, pregiudizi e non sono la realtà. La sua figura rimane di prima grandezza, non solo per il livello clinico e intellettuale, ma anche per l’indubbio gusto per la metafora e per il suo piacevolissimo senso dell’ironia e dell’umorismo.
La famiglia, oscuro oggetto del desiderio, è sempre più in difficoltà.
In un mondo in cui la variabilità di soluzioni e possibilità è enormemente accresciuta, offrendo opportunità un tempo impensabili, ma anche grande competitività e grandi disagi, la famiglia è oggi al centro dell’attenzione, ed è sempre più in balia degli eventi. Basti ricordare il fatto che sempre più frequenti e acute sono le difficoltà di coppia, essendo saltati da tempo i meccanismi antropologici e normativi che ne permettevano la longevità. Che in conseguenza di ciò, spesso è monogenitoriale, oppure c’è la presenza di molteplici figure parentali, con dinamiche d’alta complessità e carenza di autorevolezza nei riguardi dei figli. E questo che un tempo era un evento minoritario oggi è talmente frequente da rappresentare un problema emergente. Un altro elemento nuovo, in un certo senso,postmoderno, è l’accresciuta inflenza dei gruppi (o sistemi) esterni alla famiglia (gruppo dei parisoprattutto) sui figli adolescenti, fatto che ha come conseguenza maggiori difficoltà nel processo educativo e l’insorgenza di varie situazioni problematiche, tra cui il bullismo.
Questi esempi, a cui se ne potrebbero affiancare molti altri, inducono sempre più persone a portare la loro sofferenza agli psicoterapeuti per ottenere conforto, indicazioni, terapia. E l’opera e l’insegnamento di Boscolo e Cecchin, anche per l’alto respiro culturale e clinico che hanno saputo esprimere, fornisce a moltissimi terapeuti, e anche al sottoscritto, degli strumenti efficaci ed attuali per “curare” questo tipo di sofferenza.
E questo soprattutto grazie al loro essere stati “maestri” e non solo intellettuali. Grazie all’enorme impegno che hanno profuso, azione che nel caso di Boscolo ancora continua, nell’insegnare e nel formare intere generazioni di nuovi professionisti. Come moltissimi altri non posso che essere loro grato e scrivere qui anche il mio grazie.
dott. Andrea Flego